Giovanni, il titolare del Sottopasso Lounge, non è una persona facile. Soprattutto, non vuole esserlo. D’altronde, per decidere di aprire un locale a Bottega, proporre una carta dei cocktail a base di una incredibile selezione di distillati di altissima qualità, unirvi una filosofia gastronomica mai banale, organizzare serate con live session del tastierista di Stevie Wonder, con l’obiettivo dichiarato di stimolare la testa delle persone, e non solo il palato, forse uno facile non poteva bastare.
E noi non potevamo farci scappare una storia e un locale così. Anche se l’inizio dell’amicizia tra 61cento e Giovanni fu quasi da brivido…
GIOVANNI, COM’È NATO IL SOTTOPASSO LOUNGE?
Era il mio sogno, un’idea che coltivavo da molto tempo. Sono in un certo senso figlio d’arte. In famiglia bere e mangiare sono sempre stati sacri: mio padre era sommelier e mamma una toscana erede di una tradizione di cuochi. Rimane tuttora per me la miglior cuoca del mondo, ha un lievito madre di 33 anni, che continua a nutrire e a curare e al quale secondo me vuole più bene che ai figli. Ecco, l’educazione al palato viene da lì. Intorno ai 20 anni ho cominciato lavorando parecchio nei locali, tra Pesaro Urbino e la Romagna. Lì i colleghi barman mi hanno trasmetto i primi rudimenti della miscelazione, e mi hanno educato innanzitutto come cliente e come consumatore, prima ancora che come professionista: come nasce un drink, come si crea, come si degusta.
Poi, per 20 anni, mi sono occupato di marketing e vendite nelle principali imprese edilizie di Pesaro, finché non ho capito che avevo ancora un sogno in sospeso. Il Sottopasso Lounge è nato da lì, e un secondo dopo la sua nascita è cominciata la vera sfida.
IN CHE SENSO SFIDA?
Ho creato questo posto dal nulla, in mezzo al nulla, in un contesto che non aveva nessuna abitudine in questo senso. Fin da subito è stata una sfida contro chi sostiene la quantità, contro la qualità. La battaglia contro chi vede chi sta al di qua del bancone come un semplice esecutore, e non come qualcuno che ti possa trasmettere qualcosa. La battaglia contro chi sostiene che siccome il cliente paga, allora ha sempre ragione e può chiedere quello che vuole.
DA CUI POSSIAMO DEDURRE CHE PER TE IL CLIENTE…
Non ha sempre ragione. Ho aperto questo locale dopo aver studiato, conosciuto, ricercato, selezionato. Ho fatto esperienza, girato il mondo. Ci ho messo tempo, passione, cuore, fegato. Non posso accettare che dopo tutto questo arrivi uno al banco e pensi di saperne più di me. O meglio: se è una persona che ne parla con cognizione di causa, ben venga il confronto, anche la critica. Ma a quello che viene qui ed è convinto che siccome paga può ordinare birra e gazzosa cerco di spiegare, con gentilezza, che non lo facciamo, e che non sono disposto a farlo.
RADICALE.
La radicalità è l’unica cosa con la quale puoi ottenere un risultato. Genera confronto. Getta un seme. Io ho necessità che sull’argomento venga fatta cultura, perché questo argomento è una delle mie principali passioni. Se una persona non riconosce valore in quello che facciamo, e in come lo facciamo, sta distruggendo quello che abbiamo cercato di costruire e stiamo cercando di costruire. Per questo, forse non siamo il locale per lui.
E I CLIENTI COME REAGISCONO?
Sia chiaro, non siamo un locale che respinge, anzi. Siamo decisamente più goderecci e festaioli. I casi in cui ci sia da parte del cliente un atteggiamento negativo verso il nostro approccio sono rarissimi: se spiegata nel giusto m
o, con il giusto tono, ai clienti una filosofia che gli permetta di conoscere, scoprire, e mangiare e bere bene, piace e pure parecchio. D’altronde, se bevi bene ti puoi permettere un drink venerdì, sabato e domenica. Se bevi troppo e male il venerdì, sei out per un weekend.
PERCIÒ ALLA FINE IL DIVERTIMENTO NE GUADAGNA.
Ovvio. Qui di feste ce ne sono parecchie, amiamo divertirci, e vorremmo che i nostri ospiti e amici considerassero il Sottopasso come una tappa abituale, in cui sentirsi in famiglia. Certo, anche nel divertimento pretendiamo sempre educazione e stile. Che ad avere stile da sobri sono capaci quasi tutti… quando invece ci diamo il permesso di goderci una serata, allora si fa più difficile. D’altronde, a tutti coloro che arrivano qui in macchina, e bevono un bicchiere di troppo, io ritiro le chiavi dell’automobile. La rigidità non si può usare solo quando fa comodo.
QUAL È IL MOMENTO MIGLIORE PER VENIRVI A TROVARE?
Sottopasso Lounge attualmente è aperto a pranzo e alla sera dall’aperitivo in avanti, cena inclusa. Stiamo valutando di riaprire alla mattina, come all’inizio, ma con una proposta specifica: la colazione all’inglese, salate e dolce, un brunch, di quelli veri, originali. Non siamo ancora sicuri però.
La nostra cucina prevede una carta e tutta una serie di proposte a rotazione, perché ci piace sorprendere cliente. Non siamo in un luogo in cui possiamo permetterci di annoiare, e non ci piace farlo. La nostra cucina passa attraverso le ricette della cucina tradizionale italiana (le ricette vere, ovviamente) e le esperienze mie e della compagna, che è di origine cubana e con la quale ho viaggiato per tutti i Caraibi, alla ricerca di spezie, ricette, distillati, sapori. Il piatto più rappresentativo è il pollo alla caraibica.
A tutto questo va aggiunto che spesso organizziamo serate tematiche: serata spagnola con sangria e tapas, serata tedesca in occasione dell’Oktoberfest, cene a base di pesce pescato… Qui non c’è un mercato di passaggio che da solo ti riempie il locale: qui ti devi inventare qualcosa per far smuovere le persone e farle arrivare in un luogo in cui non c’è wi-fi, in cui non si trasmettono partite, e anche quando si concede alla musica dal vivo, che amiamo moltissimo, lo fa con artisti del calibro di Frank McComb, tastierista di Stevie Wonder, Ernestico Rodriguez, percussionista di Jovanotti, Luca Colombo, chitarrista, Raphael Gualazzi…
E IN CAMBUSA?
Sfido chiunque, in zona, ad una selezione di rum e gin migliore della nostra. Li utilizziamo per preparare i cocktail classici, quelli originali, e amiamo raccontarti anche il perché di ogni singola ricetta, di ogni storia. Un buon bartender dev’essere a metà tra un farmacista e uno psicologo…
Quando hai conosciuto 61cento e perché hai cominciato a proporre la loro birra
Io non avevo e non ho una grande reputazione con i birrifici artigianali della zona, e con i loro rappresentanti. Non tenevo artigianali italiane al Sottopasso Lounge: non ne avevo mai trovata una che avrei bevuto da cliente. Quando Tommy è entrato qui dentro per la prima volta gli ho detto “Se la tua birra puzza di spogliatoio, o se è troppo gasata, o se tutti gli stili hanno lo stesso sapore, lascia perdere, non voglio nemmeno sentirle, perdi il tuo tempo”. Secondo me subito si è un po’ spaventato, poi molto garbatamente mi ha detto”Guarda, secondo me nessuna delle tre cose, se posso fartele assaggiare….”. Il resto è storia.
Ho sentito che il prodotto c’era, le ho scelte e le propongo ai miei clienti. Chi sta dietro banco non deve innamorarsi di nulla, né di un’etichetta, né di un produttore, né di una moda: dev’essere sempre il palato a comandare.
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