Un birrificio al Vinitaly: birra e vino. Sono davvero due mondi in conflitto? E’ realistica l’opinione diffusa secondo la quale i produttori di vino non amino i produttori di birra, e viceversa?
Due di noi sono stati al Vinitaly, pochi giorni fa. E questo è il resoconto di un’esperienza istruttiva, stimolante e molto, molto divertente.
Una premessa doverosa: esistono sicuramente produttori di vino che considerano l’arte brassicola un’arte minore, e decisamente semplice, partendo dal presupposto che chi fa la birra non deve crescere e coltivare la vite, in eterna lotta con la natura, la terra, il meteo; esistono sicuramente anche produttori di birra che considerano i produttori di vino una sorta di casta fortunata e coccolata.
Di sicuro noi possiamo dirvi che non appena un produttore di vino appassionato e un produttore di birra appassionato cominciano a parlarsi, a conoscersi, a raccontarsi, nelle infinite sfaccettature che il reciproco lavoro quotidiano comprende e include, allora cominciano a capirsi, apprezzarsi, specchiarsi l’uno nell’altro. Ed è un arricchimento per entrambi, che di solito finisce in brindisi ed abbracci. Non si superano così, conoscendosi, tutte le differenze, in fondo?
Noi ci teniamo a dire che amiamo il vino, la viticoltura, l’enologia. Abbiamo un sacco di foto e video che possono dimostrarlo ma…. Magari un’altra volta. Ecco il racconto di cos’è successo a 61cento al Vinitaly.
Cosa ci fa un birrificio artigianale al Vinitaly?
Stiamo cercando di uscire dal mercato nazionale, e il Vinitaly ci sembrava una buona vetrina per cominciare a pianificare la cosa. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Fiore Wine, che fa export di vino in Nord America, Australia, Nord Europa, Sud Africa. E’ un’azienda italiana con la quale ci siamo conosciuti in modo particolare. Abbiamo un amico in comune, che è l’azienda agricola e cantina Selvagrossa, loro cliente. Lo scorso anno Selvagrossa portò con sé al Vinitaly alcune delle nostre etichette. Dovete sapere che gli addetti ai lavori alla fine delle giornate del Vinitaly, stanchi di bere vino, fanno un brindisi a base di birra. (Quando ce l’hanno detto non ci credevamo, lo ammettiamo). Ebbene, i ragazzi di Fiore Wine lo scorso anno assaggiarono le nostre birre, portate da Selvagrossa, ne rimasero colpiti e da lì ci contattarono e nacque il desiderio di cominciare a collaborare insieme. Quest’anno ci hanno invitati come ospiti del loro stand, al fianco dei loro vini, che producono in Toscana e in Emilia-Romagna.
Come reagivano gli importatori internazionali di fronte ad un birrificio?
Molto bene. Non c’è nessun tipo di preclusione o di barriera da parte degli importatori internazionali: sono tutti grandissimi professionisti con un palato difficile da ingannare. Se il prodotto è valido, se ne accorgono e apprezzano. Per capire la loro reazione è importante fare due considerazioni. Molto spesso si trovano a venire in missione al Vinitaly per trovare nuovi stimoli e nuove proposte per le carte dei vini, e non solo, dei loro clienti in patria, e nei loro paesi la birra artigianale è molto richiesta anche dai ristoranti: per questo un prodotto di qualità in più è sempre ben accolto. In secondo luogo bisogna considerare che l’assaggio di una birra al Vinitaly, all’interno di uno stand dedicato al vino, viene fatto soprattutto per pulire la bocca, scaricare il palato dal sapore del vino. Per questo vengono apprezzate le birre più fresche, profumate, quasi estive.
Quali sono state le birre più apprezzate?
Dipendeva dai momenti e dagli interlocutori. Durante la giornata la birra è assaggiata dagli importatori, tra un assaggio di vino e l’altro. Cercano le birre più leggere, fresche, aromatiche.
Ha avuto successo la Picus, Italian Weiss, grazie alla sua mineralità e alla sua freschezza. E’ piaciuta molto la Kiwi, la Pacific Lager, grazie ai profumi floreali e fruttati generati dai luppoli neozelandesi. E poi la Kisa, White Ipa, grazie ai sentori agrumati e tropicali.
Alla fine delle giornate, quando all’interno degli stand rimangono solo gli operatori, si aprono le birre per brindare alla fine della giornata di lavoro. Gli espositori italiani hanno apprezzato la Elk e la Koi, due stili di birra più adatti al relax, e alla degustazione lenta, e relativamente di “nicchia” in Italia.
Da dove venivano la maggior parte dei visitatori?
Siamo stati fortunati, perché Fiore Wine ha molti clienti, da tutto il mondo, e molto appassionati.
Importatori americani, che è un mercato ambitissimo ma molto difficile, per via delle regole relative all’import dei prodotti ma anche, bisogna ammetterlo, perché negli Stati Uniti hanno una produzione di artigianale ricchissima ed estremamente capace.
Australiani, grandi amanti della birra, ed amanti dell’Italia. Importatori kazaki, russi, estoni, che si trovano a dover soddisfare i palati di una clientela sempre più esigente, curiosa, attenta a ciò che beve, e follemente innamorata di tutto ciò che è italiano.
Svizzeri, tedeschi, nord europei, pubblico con il quale è più facile intendersi e parlare la stessa lingua di grandi appassionati, e trovarli curiosi di scoprire nuove etichette di birra artigianale in Italia, paese che rispettano molto per quanto riguarda l’arte brassicola.
Ultimo, ma non per importanza, cito un importatore giapponese, paese che siamo noi ad amare particolarmente. L’importatore si è presentato con due assistenti: lui degustava e gli assistenti scrivevano. Questa sì che si chiama professionalità…. (ovviamente ci è dispiaciuto per gli assistenti, ma il primo ha apprezzato molto le birre).
Cosa si aspettano da una birra artigianale italiana?
Qualcosa di diverso, essenzialmente. Anche se alla fine l’aspettativa dipende molto dalla sensibilità e dalla cultura del Paese da cui il visitatore proviene.
L’esempio più chiaro è avvenuto nel momento in cui abbiamo incontrato un importatore tedesco. Ha chiesto di assaggiare la Picus, dopo aver letto sull’etichetta Italian Weiss. Voleva capire quale fosse il tocco di italianità che abbiamo aggiunto allo stile Weiss, uno stile in cui naturalmente la Germania la fa da padrona. Abbiamo provato a suggerirgli di assaggiare prima la Kiwi, ma quando si è accorto che era una Lager ha declinato l’invito, con un’espressione del tipo “Vuoi davvero stupire un palato tedesco esperto di birra con una lager?”. Abbiamo insistito, ha assaggiato la Kiwi e “Wow”, ne è rimasto colpito. Così come ha apprezzato l’interpretazione all’italiana della Weiss. Questo amiamo del nostro lavoro: la possibilità di creare all’interno di stili consolidati, la possibilità di dare una nostra versione e stupire chi, letteralmente, ne ha assaggiati parecchi. Ci siamo lasciati con lo scambio del biglietto da visita e la promessa di un ordine diretto verso la Germania.
Quando troveremo un’etichetta 61cento in un locale all’estero?
Ci piacerebbe dire molto presto. In realtà, in un locale tedesco siamo già presenti, ma non vorremmo fermarci qui. Il Vinitaly ci ha lasciato il desiderio di migliorare sempre di più nelle tecniche di produzione: perché anche se i sapori sono piaciuti, e le ricette sono giuste, guardare all’export significa anche migliorare le tecniche di conservazione del prodotto, per dargli più vita, senza arretrare di un millimetro per quanto riguarda la qualità e ovviamente la bontà.
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